L’anno 2022 è quasi alle spalle e la città di Avellino ancora non ha trovato la quadra per tornare regina della pallacanestro. Un altro anno senza Scandone, un altro anno di alti e bassi per l’unica squadra di serie B. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di essere i più didascalici possibili.
Il sindaco
Non c’è dubbio che Gianluca Festa sia l’unico in città che, in un modo o in altro, abbia preso in mano la situazione e fatto qualcosa. Poi su come l’abbia fatto, sui motivi per cui l’abbia fatto e sui risultati ottenuti possiamo discutere da qua a dicembre 2032. Noi di obasket siamo stati critici, ci abbiamo creduto, siamo stati delusi, abbiamo voluto sperare. Ma tutto quello che rimane è un personaggio che ama il basket, ha giocato con la Scandone, sente forte il desiderio della città di tornare a contare qualcosa nella palla a spicchi.
Ah ma il lodo che ha fatto, ah ma il trampolino di lancio per diventare sindaco, ah enjoy, ah ma, ah però, ah beh. Quante se ne possono dire? Tante. Ma la sostanza non cambia. Quando la Scandone era viva giustamente si diceva che fare una squadra da contrapporre alla storia non avrebbe avuto senso. Poi la Scandone è morta e neppure allora c’è stato qualcuno che si è fatto avanti.
Ed allora la Del.Fes è stata la scelta obbligata per non perdere pure quello zoccolo duro di 100-200 appassionati che la partita, storto o morto, la vanno a vedere. Ed anche qui si è detto “Gianluca Festa ha iscritto la Del.Fes in serie B altrimenti la squadra l’avrebbe fatta…” e a seguire i nomi dei soliti noti che sembrano sempre pronti a portare di nuovo Avellino in serie A ma che stringendo stringendo, il 31 lo passano a casa a mangiare cotechino e lenticchie come tutti noi.
Che la Del.Fes attualmente sia una squadra divisiva è sotto gli occhi di tutti. Le ragioni sono molte. Alcune indiscutibili (il nome stesso, la sensazione che sia sempre il sindaco il deus ex machina di ogni scelta, ecc…), altre ovviamente pretestuose. Resta il fatto che così non si può andare avanti, nonostante i buoni sponsor trovati in corso di stagione e la speranza di trovarne altri in futuro.
L’affaire logo Scandone
Fallito il tentativo di dare degna (o indegna, a seconda delle persone con cui si interloquisce) sepoltura e conservare la memoria di una Scandone oramai considerata defunta, il logo passa nelle mani di Trasente, titolare della SIA. Una vita sottotraccia quella dell’imprenditore irpino, sconosciuto ai più e tornato, dopo qualche giorno di ribalta, nel più completo anonimato. Assieme al logo acquisiti anche una serie di trofei tra i quali spicca la Coppa Italia vinta a Bologna sotto la presidenza Ercolino.
Che fine farà il logo? Ah bella domanda. Si era detto di un possibile merchandising “nostalgia canaglia” cosa abbastanza campata in aria considerando che neppure nei momenti più esaltanti si riusciva a vendere quanto avrebbe dovuto una squadra di A1. Più probabile che il logo stia in stand by in attesa che arrivi qualcuno che intenda investire seriamente nel basket. In quel momento Trasente potrebbe cedere il logo, dimostrando di averlo acquisito per tale lieto evento oppure potrebbe venderlo o cederne l’utilizzo per guadagnarci qualche migliaio di euro. Questa seconda ipotesi ci sembra, sinceramente, un investimento a perdere. Noi tifiamo per il fatto che Trasente la sappia più lunga di tutti noi e che da qui a pochi mesi/anni verrà svelato l’arcano.
L’altra metà della palla a spicchi
Se Festa e Trasente rappresentano la parte della palla sotto il sole, la parte che si è mossa (nel bene ma anche nel male) e che in qualche modo ha provato a mettere le basi per qualcosa, c’è the dark half, l’altra metà della luna, quella nascosta e buia. Fatta di qualche ex dirigente, mezzitifosi delusi, gente incazzata, bastiancontrari, imprenditori fantasma e ovviamente veggenti, preveggenti e postveggenti. Con gli ultimi che dominano su tutti gli altri con i loro “l’avevo detto io” mentre in città vengono ricordati per le richieste di ingressi gratuiti, per le strette di mani e i salamelecchi anche agli contatoristi SIDIGAS.
Un sottobosco di persone a cui piace la critica fine a se stessa, che se il basket va bene tutto ok ma se va male meglio, così tengo che dire, tifosi occasionali da partita con Milano o Bologna. Queste persone che fanno male al basket, a se stesse e alla salute di chi le incontra per strada e si fermano a scambiare quattro chiacchiere. Pensano di vivere a basket city e che sia scontato reperire aziende con denaro da investire in stile franchigia NBA. Gente che per lo più, come si dice ad Avellino, non si misura la palla (a spicchi ovviamente).
I tifosi organizzati e non
La parte terza, chi ha subito gli eventi senza poterli neppur in minima parte gestire, chi ha messo cuore e si è ritrovato con un pugno di mosche sono i tifosi. Gli OF si sono sciolti, inutile parlare di loro considerata la volontà precisa di non esserci più. Tutto ciò che è avvenuto dopo l’ultimo comunicato è stato frutto di idee, moti d’animo e iniziative personali e come tali vanni prese e comprese. La fine della Scandone prima e lo scioglimento del tifo organizzato poi, sono pugnalate al cuore per chi, quei gradoni, li ha vissuti e considerati come casa propria.
Detto questo non restano che gli altri tifosi, gli appassionati di basket, quelli che anche la serie C purché ci sia pallacanestro ad Avellino. Zoccolo duro che nulla ha a che vedere con le beghe tra il sindaco e i suoi avversari politici, con il tessuto economico che spesso latita, con le chiacchiere da bar tra il becero e il pecoreccio. Chi ama questo sport vorrebbe soltanto poter continuare a vedere il basket ad Avellino e considere quello che è accaduto in questi anni una brutta parentesi dalla quale riprendersi e rialzarsi più forti di prima. I momenti duri non sono mancati neppure in passato. Manca soltanto una cosa, ma ne parleremo nel prossimo paragrafo.
L’unità di intenti o il De Cesare di turno
E purtroppo poche sono le alternative. O si firma un armistizio tra chi, sottotraccia o meno, è l’un contro l’altro armato da anni oppure non resta che augurarci l’arrivo di un altro “salvatore” della patria. Di certo ad Avellino città, pur rastrellando via per via, attività per attività, non c’è chi può “cacciare i renari“. E neppure si può costruire qualcosa di buono coi contributi dell’imprenditore amico, del conoscente riconoscente e compagnia bonificante. La pace pare difficile se non impossibile. In una città dove la politica e le trame sotterranee contano più della passione, mettere d’accordo chi cordialmente si odia da anni è difficile se non impossibile.
Ed allora, seppur a denti stretti, bisogna guardare in faccia la realtà e dirci che l’unica soluzione papabile sia l’avvento di un novello Gianandrea, uno che si appassioni al basket perché in città ha motivi per cui appassionarsi. O qualcuno di noi pensa che un imprenditore di qualsiasi provenienza che non sia Avellino metta centinaia di migliaia di euro nel basket cittadino perché siamo belli? Siamo belli per carità, per primo chi scrive, ma non al livello richiesto da cotanto investimento.
Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior
E questo è l’augurio che la redazione di obasket fa a tutti i cittadini avellinesi ed appassionati di basket d’Irpinia. La sensazione è quella di aver pestato qualche anno fa una enorme deiezione come quando si va per pascoli a Laceno. Ma dicono anche che sia vero che olezzi, ma che porti anche fortuna. E sono tanti gli esempi di persone che hanno fatto fortuna su cose maleodoranti. Quindi non ci resta che sperare che il 2023 sia l’anno del cambiamento, l’anno della svolta, l’anno della ricostruzione. Perché dopo il palazzo del Frap’s si può ricostruire anche il basket ad Avellino. E se a corso Vittorio Emanuele il portone storico non è stato salvato, a Manocalzati c’è chi ha salvato un pezzo di storia del basket avellinese. Non resta che aspettare e guardare cosa accadrà.